Spaghettoni Lamanniello

Un condimento con degli ingredienti “must have” che a casa Lamanniello non mancano mai, ingredienti base di tante altre preparazioni che però poi, se messi insieme, danno forma ad uno dei nostri primi “domenicali” preferiti.

  • Spaghettoni quadrati (ottimi quelli Rummo ma la ricetta si presta a qualsiasi formato di pasta lungo.)
  • Filetti di alici di Menaica (no, non è un paese ma un’antichissima tecnica di pesca praticata ormai solo in poche località italiane, prima su tutte quella di Marina di Pisciotta, un piccolo borgo della costiera cilentana, in provincia di Salerno, in cui questa tecnica sopravvive grazie al lavoro di pochissimi pescatori. Io qui ho usato quelle di Cetara perché non avevo in casa quelle di menaica; entrambi sono prodotti top ma se non riuscite a recuperare nessuno dei due, scegliete sempre alici in olio di semi di girasole e non di oliva: quest’ultimo ha un gusto troppo forte e ruberebbe spessore al sapore delle alici.)
  • Pomodorini datterini (ma se siete fortunati e avete quelli del Piennolo, ovviamente usate quelli.)
  • Capperi sotto sale (qui a casa abbiamo ancora quelli di Lampedusa), sciaquati velocemente con acqua fredda e asciugati bene bene con la carta assorbente.
  • Olive nere ‘mbornate, infornate (quelle belle succose, salate, passate al forno e poi invasettate rigorosamente con tutto il nocciolo. Al supermercato potete cercarle tra i prodotti marocchini o greci.)
  • Origano selvatico secco (quello che mamma va a cercare in montagna. Buono anche quello fresco: qui in Germania compro la piantina al markt, assieme a tutti gli altri odori; impossibile mantenerle in eterno ma almeno, volta per volta, ho sempre erbette fresche pronte all’uso.)
  • Olio extra vergine di oliva, di quelli buoni, buonissimi: scegliete sempre tra i migliori italiani o greci, risparmiate su altro (noi siamo fortunati e usiamo quello della famiglia di Francesco).
  • Tarallo napoletano tritato finemente (oppure, per noi emigrati all’estero, pan grattato mischiato a mandorle tostate e tritate, pepe e un po’ di olio: tutto in padella per pochi minuti, salatandolo costantemente.)
  • Aglio tritato abbastanza grossolanamente
  • Concentrato di pomodoro

Inizio col soffriggere l’aglio. Aggiungo i filetti di alici e stempero con una forchetta (attenzione agli schizzi!), poi i pomodorini, poi il concentrato ed infine le olive e i capperi. Dopo 5 min a fuoco basso, aggiungo un po’ di acqua di cottura della pasta e una volta che quest’ultima raggiunge i 3/4 di cottura, continuo a cuocerla direttamente nel condimento, a fuoco allegro, aggiungendo ogni tanto altra acqua, all’occorrenza. Finisco con l’origano, una bella noce di burro salato e il trito di tarallo.

Bon appétit!

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2 Comments

  1. 1. Menaica invece è proprio un piccolo borgo nel comune di Pisciotta. Credo che faccia parte della frazione Caprioli.
    2. Si dice «a sei» e non «ad sei».
    3. Sardine (o sarde) e acciughe (o alici) sono due cose diverse.

    1. Ciao Francesco. Dove avrei scritto “ad sei”? Non capisco. E non capisco nemmeno la specifica sulle differenza tra sardine ed acciughe, visto che io nomino solo le alici. Quello che però capisco benissimo è che sei informato male sull’origine del nome “Menaica”: non esiste nessuna località che porti questo nome (almeno nel Cilento) e comunque, anche se esistesse in qualche “pizzo di mondo”, questa non dà assolutamente il nome al prodotto di cui parlo nell’articolo. La menaica che dà il nome al tipo di alici è un’antichissima tecnica di pesca (e il nome della rete stessa con cui viene praticata). «La rete le seleziona in base alla dimensione, catturando le più grandi e lasciando passare le piccoline. Nervose e guizzanti, le alici, una volta intrappolate, perdono velocemente gran parte del loro sangue. Con la forza delle braccia si tira in barca la rete e, delicatamente, si estraggono dalle maglie, una a una, staccando la testa ed eliminando le interiora.» (fondazioneslowfood.com). Grazie del tuo tempo, ciao!

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